Iacopo da Varazze

Carla CASAGRANDE

La vita

Iacopo da Varazze è nato tra 1228 e il 1229 a Varazze oppure, più probabilmente, a Genova, dove è attestata la presenza di una famiglia originaria di Varazze, denominata “de Varagine”. La formula “de Voragine” con cui viene talora designato in fonti anche antiche è una variante di “da Varagine”. Fantasiosa dunque, anche se in un certo modo veritiera, l’idea, risalente al secolo XVI e divenuta poi tradizionale, che “Voragine” venisse da “vorago”, a indicare l’abisso di dottrina di cui Iacopo ha dato prova nelle sue opere.

E’ lo stesso Iacopo a fornirci, in una rapida autobiografia contenuta in una delle sue opere, la Chronica civitatis Ianuensis , le prime date certe della sua vita: il 1239, quando nella sua infanzia gli capitò di assistere a un’eclisse solare, il 1244, quando, adolescente, entrò a far parte dell’Ordine dei frati predicatori, e il 1264, quando ebbe modo di ammirare per quaranta giorni un altro fatto portentoso, e cioè l’apparizione di una cometa . Non si ha invece alcuna notizia certa né sulla sua formazione di frate predicatore né sulla sua predicazione; come pure nulla si sa della sua carriera all’interno dell’Ordine: non esiste infatti alcuna prova di eventuali soggiorni di studio a Bologna e a Parigi, né delle sue nomine a lector , a magister theologiae , a priore del convento di Genova e poi di quello di Asti, come sostengono alcuni biografi antichi. Tuttavia si può supporre che Iacopo avesse assunto responsabilità di rilievo all’interno dell’Ordine prima del 1267, data in cui viene elevato, nel Capitolo Generale di Bologna, all’officio di priore dell’importante provincia di Lombardia, che all’epoca comprendeva tutta l’Italia settentrionale, l’Emilia e il Piceno. Mantiene questa carica per dieci anni, partecipando ai capitoli provinciali e generali dell’Ordine e risiedendo probabilmente nel convento di Milano o in quello di Bologna, fino a quando al capitolo generale di Bordeaux del 1277 è absolutus dall’incarico. Dopo qualche anno, nel capitolo provinciale di Bologna del 1281, viene nuovamente nominato priore della provincia lombarda, carica che occuperà per altri cinque anni, fino al 1286. Dal 1283 al 1285 esercita funzioni di reggente dell’Ordine dopo la morte di Giovanni da Vercelli e prima dell’elezione del nuovo maestro generale Munio de Zamora.

Nel frattempo continua a mantenere forti legami con la città di Genova. Nel giorno di Pasqua del 1283, come racconta egli stesso nell’opuscolo Historia reliquiarum que sunt in monasterio sororum Sanctorum Philippi et Iacobi , fece trasportare una preziosa reliquia, la testa di una delle vergini di Sant’Orsola, da Colonia al convento delle suore domenicane di Genova dei santi Giacomo e Filippo; si tratta dello stesso convento al quale anni prima, durante il precedente priorato, aveva donato un’altra reliquia, il dito di san Filippo, da lui stesso staccato dalla mano del santo conservata nel convento di Venezia. In quell’occasione, Iacopo, dopo la solenne processione, tenne messa e predicò al popolo. Nel 1288, quando ormai da due anni non era più priore della Lombardia, fu candidato alla carica di arcivescovo di Genova, ma non ottenne, come gli altri tre candidati, la maggioranza dei voti; il papa Nicolò IV sospese la nomina affidando però a Iacopo, il 18 maggio dello stesso anno, il compito di assolvere in una cerimonia pubblica, che si tenne nella chiesa di san Domenico, i cittadini genovesi scomunicati per aver avuto rapporti commerciali con i siciliani, a loro volta scomunicati a causa della guerra del Vespro. Nello stesso anno viene nominato diffinitor nel capitolo generale di Lucca.

Nel 1290, in occasione del capitolo generale di Ferrara, Iacopo, resistette alle pressioni dei cardinali romani che in una lettera chiedevano le dimissioni del maestro generale Munio de Zamora, inviso per il suo rigorismo all’interno dell’Ordine e della Curia romana. La lettera non sortì alcun effetto: non solo il maestro generale non si dimise ma venne sostenuto da una pubblica dichiarazione, firmata anche da Iacopo, che ne esaltava le virtù e ne approvava la politica. Secondo la ricostruzione di Gerolamo Borselli (sec. XV) e, dopo di lui, di altri antichi biografi, sarebbe proprio a causa dell’appoggio dato alla linea rigorista di Munio de Zamora che Iacopo avrebbe subito in quell’anno un tentativo di omicidio da parte di confratelli che volevano gettarlo nel pozzo del convento di Ferrara. Tentativo che, racconta ancora Borselli, si sarebbe ripetuto l’anno successivo, il 1291, a Milano, questa volta perché Iacopo aveva escluso dal capitolo provinciale frate Stefanardo, priore del convento milanese. Niente conferma la veridicità dei due episodi.

Nel 1292 viene nominato dal papa Nicolò IV arcivescovo di Genova. Al governo della diocesi genovese Iacopo dedica gli ultimi sei anni della sua vita, dal 1292 al 1298, anno della morte. La sua azione è rivolta dapprima alla riorganizzazione legislativa del clero sotto l’autorità arcivescovile. A questo scopo convoca un concilio provinciale, che si tiene nella cattedrale di San Lorenzo nel giugno del 1293, durante il quale, come racconta lo stesso Iacopo nella cronaca di Genova, viene compiuta, alla presenza dei governanti e dei notabili e poi di tutto il popolo, una ricognizione delle ossa di San Siro, patrono della città, che conferma solennemente l’autenticità della reliquia.

Intensa è l’attività di Iacopo sul piano politico, della quale egli stesso offre un ampio resoconto nella Cronaca di Genova . Nel 1295, nei primi mesi dell’anno, promuove la pacificazione tra le fazioni della città e celebra la pace finalmente raggiunta in un’assemblea pubblica nella quale predica e intona, insieme ai suoi ministri, lode a Dio; segue quindi una solenne processione per le vie della città guidata dallo stesso Iacopo a cavallo che si conclude con il conferimento del cingolo di miles al podestà di Genova, il milanese Iacopo da Carcano. Nello stesso anno, in aprile, insieme agli ambasciatori inviati dal Comune, compie un viaggio a Roma, convocato dal papa Bonifacio VIII che cercava di prolungare l’armistizio tra Genova e Venezia. Il soggiorno presso la Curia romana si prolunga per un centinaio di giorni e Iacopo non manca di mostrare un certo fastidio per l’indecisione del papa e soprattutto per le manovre dilatorie degli ambasciatori veneti. A questo punto i Genovesi, dopo la lunga attesa, decidono di andare allo scontro con Venezia allestendo, tra l’entusiasmo popolare, una flotta, che avrebbe dovuto affrontare i nemici in una battaglia decisiva presso Messina alla quale però i veneziani non si presentarono costringendo il comandante Oberto Doria a ritornare a Genova senza aver combattuto, accolto però in trionfo dalla città e dal suo vescovo. Alla fine del 1295 Iacopo subisce una sconfitta politica e una profonda delusione personale: si rompe infatti la pace tra le fazioni cittadine, da lui voluta e da lui solennemente celebrata pochi mesi prima; scoppiano incidenti violenti durante i quali viene incendiata la Cattedrale di san Lorenzo il cui tetto viene totalmente bruciato. I danni sono così gravi che Iacopo chiede al papa un risarcimento che gli viene concesso il 12 giugno del 1296.

Iacopo muore nella notte tra il 13 e il 14 luglio del 1298. Il suo corpo, prima sepolto nella chiesa di San Domenico del convento dei frati predicatori di Genova fu, alla fine del secolo XVIII, trasferito in un’altra chiesa domenicana, Santa Maria di Castello, dove tuttora si trova. In virtù della venerazione e del culto di cui fu fatto oggetto per secoli, Iacopo venne beatificato nel 1816 da papa Pio VII.

Le opere

Importante per il ruolo all’interno dell’Ordine dei frati predicatori e per la sua azione come arcivescovo di Genova, Iacopo da Varazze è noto soprattutto per le sue opere che qui elenchiamo nell’ordine in cui lo stesso Iacopo le cita nell’ultimo capitolo della Chronica civitatis Ianuensis : le Legende Sanctorum ( Legenda Aurea ), tre raccolte di modelli di sermoni, i Sermones de omnibus sanctis , i Sermones de omnibus Evangeliis dominicalibus , i Sermones de omnibus Evangeliis que in singulis feriis in Quadragesima leguntur , il Liber Marialis e la Chronica civitatis Ianuensis . Sono esclusi da questo elenco ‘autobiografico’ alcuni opuscoli di carattere agiografico ritenuti autentici dalla critica: la Legenda seu vita sancti Syri episcopi Ianuensis , la Historia translationis reliquiarum Sancti Iohannis Baptistae Ianuam , la Historia reliquiarum que sunt in monasterio sororum SS. Philippi et Iacobi de Ianua , il Tractatus miraculorum reliquiarum Sancti Florentii. Historia translationis reliquiarum eiusdem , la Passio Sancti Cassiani . Incerta è invece l’attribuzione a Iacopo del Tractatus de libris a Beato Augustino editis che in alcuni manoscritti dei secoli XIV-XV gli viene attribuito (Jacobi di Voragine Tractatus de libris b. Augustini ep. editis , ed. by J. A. McCormick from Manuscripts and Unique Printing, Dissertation Abstract 25, 1964-65).

Legenda aurea

Si tratta della prima e della più famosa opera di Iacopo da Varazze. Il titolo di Legenda aurea , con il quale viene tradizionalmente trasmessa, non compare nei manoscritti più antichi che riportano invece il titolo Legende sanctorum , lo stesso con cui Iacopo designa l’opera nel passo della Chronica ricordato più sopra. Anche gli altri titoli, con cui l’opera viene ricordata, Liber passionalis , Vitae o Flores o Speculum sanctorum , Historia Lombardica o Longobardica (dal penultimo capitolo, dedicato a papa Pelagio, in cui si narrano i principali eventi accaduti dall’arrivo dei Longobardi in Italia fino al 1245) non appartengono alla tradizione più antica del testo. L’opera si compone di racconti dedicati alle vite dei santi e alle feste liturgiche (178 secondo l’ed. Maggioni, 182 secondo l’ed. Graesse) disposti, e questo costituisce un’innovazione rispetto ad opere dello stesso genere, secondo l’ordine del calendario liturgico. I santi, di cui si racconta la vita, appartengono tutti ai primi secoli del cristianesimo, tranne sei santi “moderni”: due del secolo XII, Bernardo di Clairvaux e Tommaso Beckett, quattro del XIII, Domenico, Francesco, Pietro martire, Elisabetta di Ungheria. L’opera appartiene al genere delle legendae novae , compilazioni approntate tra XIII e XIV secolo per lo più da esponenti dell’Ordine dei frati predicatori, nelle quali, con il duplice intento di mettere a disposizione dei predicatori un materiale altrimenti troppo abbondante e disperso e di offrire alla lettura testi che fossero nello stesso tempo piacevoli ed edificanti, venivano raccolti e condensati i racconti agiografici, che si erano accumulati in gran numero fin dai primi secoli dell’era cristiana.

La Legenda aurea fu scritta da Iacopo a partire dal 1260 e poi da lui successivamente rielaborata, quando già ne circolavano le prime versioni, fino a poco prima della morte, come ha dimostrato Giovanni Paolo Maggioni nella sua edizione dell’opera. Nella prima redazione prevale la volontà da parte di Iacopo di predisporre uno strumento utile alla predicazione; successivamente l’inserzione di alcuni racconti, in cui rispetto all’intento edificatorio prevale il gusto del meraviglioso e del sensazionale, mostra da parte di Iacopo la volontà di tenere conto delle esigenze di un pubblico di lettori certo devoti ma anche colti e interessati. Le fonti della Legenda aurea sono molteplici: la Sacra Scrittura, i testi dei Padri e dei più autorevoli esponenti della tradizione monastica, le fonti agiografiche (in particolare le precedenti legendae novae compilate all’interno dell’ordine domenicano, l’ Abbreviatio in gestis sanctorum di Giovanni da Mailly e il Liber epilogorum in gesta sanctorum di Bartolomeo da Trento), fonti storiche, tra cui l’ Historia scholastica di Pietro Comestore, lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, la Chronica di Martino Polono, testi per predicatori composti da confratelli dell’ordine, come il Tractatus de diversis materiis praedicabilibus di Stefano di Borbone, ed anche testi teologici, filosofici, giuridici, oltre a qualche raro autore profano.

La Legenda ebbe un successo rapido, duraturo ed esteso a tutta l’Europa come nessun altro testo in epoca medievale, a parte la Bibbia . Lo testimonia il grande numero di manoscritti rimasti, più di 1200, le numerose edizioni che si succedono a partire dall’ editio princeps di Colonia 1470, i molti volgarizzamenti in tutte le principali lingue europee che si succedono a partire dalla fine del secolo XIII (vedi Lexicon des Mittelalters , V, 1991, coll. 1796-1801). Notevole fu anche l’influenza che l’opera esercitò in ambito artistico costituendo un inesauribile repertorio per la rappresentazione delle vite dei santi. A causa di questa straordinaria diffusione la Legenda fu un’opera in continua trasformazione da parte dei suoi vari utenti che intervennero sul testo adattandolo alle varie pratiche cultuali locali e all’uso che di volta in volta ne veniva fatto nell’ambito della predicazione e della devozione. L’edizione a cura di Theodor Graesse (Dresden 1846, rist. anast. dell’ediz Dresden-Leipzig 1890, Osnabrück 1969), basata su una delle prime edizioni a stampa, quella di Dresda 1472, dà conto del testo vulgato della Legenda che si è venuto costituendo nei due secoli della sua massima diffusione; la più recente edizione di Giovanni Paolo Maggioni (2 voll., Firenze 1998, cui è seguita, nel 1999, una seconda edizione rivista dal curatore con allegato un CD-ROM del testo della Legenda , a cura di L. G. G. Ricci) presenta l’ultima redazione d’autore dell’opera ed è basata su due manoscritti (Milano, Ambr., C 240 sup. e Milano, Ambr., M 76 sup.), identificati, tra i 70 manoscritti più antichi, come testimoni dell’ultima redazione compiuta da Iacopo sul testo.

Il successo della Legenda non termina con il Medioevo, anche se il giudizio negativo di umanisti e riformati contribuì al suo declino come testo religioso sia nella predicazione sia nella devozione privata. Resta però il piacere della lettura che la narrazione agiografica di Jacopo è stata capace di offrire e che ne ha garantito la fortuna anche contemporanea: molte sono le traduzioni in tutte le principali lingue moderne e numerose anche le opere teatrali, musicali, figurative da essa ispirate. Ricordiamo le due più recenti traduzioni integrali in italiano e francese, condotte sul testo dell’edizione Graesse, da Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone (Torino 1995) e da un’équipe diretta da Alain Boureau e Monique Goullet (Paris 2004).

Le raccolte di sermoni

Iacopo scrisse tre raccolte di sermoni modello, i Sermones de sanctis et festis , i Sermones de tempore , i Sermones quadragesimales . Ogni sermone è sviluppato secondo la tecnica del sermo modernus : da un thema iniziale, sempre costituito da un passo scritturale, segue una divisione che individua le parti del sermone, che sono in genere tre, ma il numero può variare a seconda dei casi da due a otto; ogni parte è poi a sua volta soggetta a specifiche e più o meno estese divisioni, all’interno delle quali trovano posto passi scritturali, auctoritates , metafore, etimologie, inserti dottrinali, agiografici, liturgici. Se la tecnica è la stessa in tutti i sermonari, tuttavia nel De sanctis i modelli appaiono più schematici, mentre nei De tempore e poi, ancora di più, nei Quadragesimales gli schemi si fanno più articolati e più ricchi di contenuti. I modelli di sermoni di Iacopo sono caratterizzati, oltre che da un certa schematicità, come si è detto, da moltissime citazioni scritturali, dall’assenza del prothema , dall’uso parco di auctores profani, dalla scarsa ed episodica presenza di exempla , dal ricorso costante al linguaggio figurato, dall’uso continuo e pervasivo della distinctio , cui spesso è affidata la divisio del sermone e le divisioni interne delle singole parti. Le fonti, spesso citate indirettamente da florilegia , sono quelle già utilizzate per la Legenda aurea : la letteratura patristica e monastica, i testi per la predicazione elaborati in ambito domenicano, qualche opera di carattere storico e qualche autore profano.

Le date di composizione sono incerte. L’ordine di composizione dei tre sermonari è probabilmente quello con cui Iacopo li elenca nella Chronica , e cioè De sanctis , De tempore e Quadragesimales . Poiché il primo sermonario, il De sanctis , è stato composto dopo la stesura della Legenda aurea , come si legge nel prologo presente in alcuni manoscritti, e l’ultimo, il Quadragesimale , potrebbe essere stato portato a termine nel 1286, come appare nel colophon dei manoscritti di area inglese (“expliciunt sermones fratris Ianuensis ordinis praedicatorum compilati anno Domini MCCLXXXVI”), si può supporre che nell’insieme le tre raccolte siano state scritte dopo il 1267, cioè dopo la prima redazione della Legenda , o forse dopo il 1277, cioè dopo la fine del primo provincialato, come molti biografi sono portati a credere, e non oltre 1286. I tre sermonari ebbero uno straordinario successo, come testimonia il grande numero di manoscritti rimasti, più di 1120. Numero che fa dei sermonari di Iacopo da Varazze i sermonari medievali di cui ci sono rimasti più manoscritti.

I Sermones de omnibus sanctis et festis comprendono 305 sermoni dedicati ai santi e alle feste liturgiche. Ad ogni santo o festa sono dedicati da due a nove sermoni. Nella Chronica Iacopo dichiara di aver scritto due volumi di questi sermoni, uno più ampio, quello che ci è pervenuto, l’altro più breve, di cui non si ha notizia. I santi e le feste sono elencati secondo l’ordine del calendario ecclesiastico già adottato nella Legenda aurea , se pure in numero ridotto: dei 178 capitoli della Legenda più di cento non vengono ripresi nei Sermones , per lo più quelli dedicati a santi “minori” dei primi secoli, martiri e monaci. Molti sono i brani ripresi dalla Legenda e presentati nei Sermones in forma compendiata e moralizzata. L’opera si presenta in effetti come la trasposizione sermocinale del materiale agiografico raccolto della Legenda . Lo stesso Iacopo, nel prologo, riconosce di aver scritto il De sanctis in seguito alle sollecitazioni dei confratelli che avevano letto e apprezzato la Legenda aurea . Il successo della raccolta è testimoniato da più di 300 manoscritti, e dalle edizioni, che si susseguono ininterrottamente dal XV al XIX secolo a partire dall’ editio princeps di Colonia 1478 (per l’elenco dei manoscritti, vedi Schneyer, III, pp. 266-268; Kaeppeli-Panella, II, n. 2155, pp. 359-61 e IV, p. 141). L’edizione dei Sermones de sanctis a cura di Giovanni Paolo Maggioni è in corso di stampa presso la Sismel – Edizioni del Galluzzo. Per il testo e i problemi legati all’edizione vedi i materiali raccolti da Giovanni Paolo Maggioni nel sito ephilology.org.

La seconda raccolta, conosciuta sotto vari titoli ( Sermones de omnibus evangeliis domenicalibus , secondo l’indicazione dello stesso Iacopo, oppure Sermones de tempore per annum , Sermones dominicales , Sermones festivales ), comprende 160 modelli di sermoni, tre per ogni Vangelo della domenica. Anche quest’opera è stata scritta, come dichiara Iacopo nel prologo, su sollecitazione dei confratelli (“importuna fratrum instantia”) e dedicata alla Trinità, alla Vergine Maria e a san Domenico, alla cui intercessione ci si raccomanda per il buon esito dell’opera. Anche in questo caso si contano moltissimi manoscritti, più di 350, e numerose edizioni che seguono la princeps di Colonia 1467-69 (vedi Schneyer , IIII, 233-235; Kaeppeli-Panella, II, n. 2156, pp. 361-364 e IV, p. 141). A conferma della secolare fortuna della raccolta segnaliamo una traduzione italiana edita a Milano presso Fabbiani nel 1913-14 con il titolo Sermoni domenicali .

I Sermones quadragesimales comprendono 98 modelli di sermoni predicabili nel periodo quaresimale (due per ogni feria ). L’edizione da poco disponibile, a cura di Giovanni Paolo Maggioni (Sismel – Edizioni del Galluzzo, Firenze 2004), è basata su sei testimoni delle principali aree di diffusione del testo (area italiana, germanica e britannica): Firenze, Laurenz., Acq. e Doni 344; Graz, Universitätbibl., 1472; London, Lambeth Palace Library, 23; München, Bayerische Staatsbibl., clm 18850; Tosi, Bibl. Com., 142; Würzburg, Universitätbibl., M.p.th.f. 54. I manoscritti appartengono tutti al secolo XIII tranne il testimone inglese, risalente agli ultimi decenni del sec. XIV, il più antico della famiglia insulare, l’unica caratterizzata dalla datazione 1286, presente negli explicit . L’edizione, pur costituendo, come sostiene lo stesso curatore, una sorta di prolegomena a una futura definitiva edizione, rappresenta un notevole avanzamento rispetto alle edizioni precedenti e consente di giungere ad alcune conclusioni: la conferma che Iacopo si sia servito di florilegia per la citazione delle auctoritates , l’ipotesi, altamente probabile, che il testo sia frutto di un’unica redazione, la certezza che i due sermoni finali presenti in molte edizioni, il Sermo de Passione Domini e il Sermo in planctu Beatae Virginis Mariae , non appartengano alla raccolta originale e non siano dunque autentici. Come le altre raccolte, anche i Sermones quadragesimales ebbero uno straordinario successo, testimoniato da più di 300 manoscritti e numerose edizioni dal XV fino al XIX secolo, seguite alla princeps di Brescia 1483. Per l’elenco dei manoscritti vedi l’Appendice all’ed. Maggioni che riprende e integra gli elenchi di Schneyer (III, pp. 244-246) e Kaeppeli-Panella (II, n. 2157, pp. 364-367 e IV, p. 141).

Il Liber Marialis

Anche Liber marialis è stato per molto tempo considerato una raccolta di sermoni, come testimonia, per esempio, il titolo Sermones aurei de Maria virgine Dei matri , presente nell’edizione Venezia 1590 e la recente inclusione nel Repertorium dei sermoni dello Schneyer. In realtà, il Liber marialis , è certamente un testo composto ad uso dei predicatori ma non una raccolta di sermoni. Si tratta di un opuscolo, come scrive lo stesso Iacopo nel prologo, in onore della Vergine, che presenta un elenco, in ordine alfabetico, di termini che illustrano caratteristiche, funzioni, immagini, virtù ad essa tradizionalmente attribuite. I termini elencati sono 160, da Abstinentia a Vulnerata , passando per Ancilla , Assumptio , Aurora , Conceptio , Domus , Fides , Gaudium , Humilitas , Ignis , Luna , Lux , Mater , Mediatrix , Palma , Regina , Requies , Salutatio , Stella , Templum , solo per fare qualche esempio; ognuno di essi costituisce il punto di partenza di una schematica trattazione che ricorda da vicino lo stile espositivo dei sermoni. Anche in questo caso si parte infatti da una distinzione in più punti, nei quali trovano posto passi scritturali, citazioni da auctores , altre distinzioni, metafore. Iacopo, nel prologo, dichiara di aver composto l’opera in età senile, quando, arcivescovo di Genova, si sentì ormai prossimo alla morte e volle affidarsi alla tutela della Vergine. La data di composizione dell’opera deve quindi essere collocata tra la sua nomina ad arcivescovo, il 1292, e la sua morte, il 1298. Se pure in misura minore rispetto alle altre opere, anche il Liber marialis conobbe una certa fortuna nel Medioevo e nei secoli successivi. Si contano una settantina di manoscritti e, a partire da quella di Amburgo 1491, molte altre edizioni dal XV al XIX secolo (vedi Schneyer, III, p. 283 e Kaeppeli-Panella, II, n. 2158, pp.367-368). Recente una traduzione in lingua italiana: (Iacopo da Varagine, Mariale aureo , versione italiana, introduzione e dizionario di Valerio Ferrua, EDB, Bologna 2006).

La Cronaca di Genova

La Chronica civitatis Ianuensis ab origine urbis usque ad annum MCCXCVII è l’ultima opera di Iacopo, scritta dal 1295, o dall’inizio del 1296, al 1298, anno della morte, cioè durante gli ultimi anni del suo mandato arcivescovile a Genova. Il testo si divide in dodici parti: le prime cinque trattano della fondazione della città, delle prime fasi della sua storia, delle origini del nome, della conversione al cristianesimo e del suo progressivo sviluppo fino all’anno 1294; seguono quattro parti che costituiscono una sorta di trattato politico sulla natura e sulla tipologia del governo secolare e sui modelli del rector e del civis cristiano; concludono l’opera tre parti dedicate, la prima, alla trasformazione di Genova da sede vescovile a sede arcivescovile, le altre due, alla rassegna in ordine temporale dei vescovi e degli arcivescovi e dei principali avvenimenti accaduti a Genova e nel mondo durante il loro mandato. La narrazione si conclude con una sorta di piccola autobiografia di Iacopo e con il racconto fino al 1297 degli eventi accaduti negli anni del suo mandato di arcivescovo in città. Come si vede, si tratta di un testo “composito”, ispirato a diversi stili di scrittura: l’encomio delle laudes civitatum , la narrazione delle cronache universali, il resoconto degli avvenimenti secondo i moduli della storia annalistica, il discorso dottrinale e normativo degli specula . Diversi sono anche gli obiettivi cui l’opera tende: sottolineare il legame tra storia cittadina e azione vescovile, proporre un’idea “agostiniana” della storia umana come scenario dell’azione salvifica di Dio, e, in generale, “istruire ed edificare”, come scrive lo stesso Iacopo nel prologo. A questo scopo, Iacopo non si limita ad alternare il racconto degli eventi con considerazioni di carattere dottrinale e morale ma dedica la parte centrale del testo all’esposizione di un vero e proprio speculum civitatis in cui, all’interno di un discorso che non si rivolge più solo ai genovesi ma che acquista valore universale, si analizzano e si valutano le diverse forme del governo secolare, si mostrano le qualità del buon rector e dei suoi consiliarii , si indicano i doveri del buon cittadino nei suoi rapporti con i governanti, la moglie, i figli e i servi. L’intento didattico ed edificatorio dell’opera la rende molto vicina ai testi per la predicazione: non a caso Iacopo vi inserisce lunghi brani tratti sia dalla Legenda aurea sia dai sermonari, non a caso il testo è stato di fatto utilizzato come supporto per la predicazione, come dimostra la presenza nella tradizione manoscritta di indici tematici alfabetici, tipico strumento di consultazione per predicatori. Anche le fonti della Chronica sono in larga parte comuni con le opere per la predicazione: accanto a fonti storiche specifiche, come per esempio gli Annali di Caffaro , relativi alla storia di Genova, ritroviamo infatti quell’insieme variegato di auctores già utilizzato per la compilazione della Legenda e dei sermonari. Da segnalare anche l’utilizzo del De regno di Tommaso d’Aquino, in particolare riguardo all’analisi delle diverse forme di governo, ferma restando la distanza tra la concezione politica di Iacopo da quella del teologo domenicano. La Chronica ebbe, se pure in misura minore rispetto alle altre opere di Iacopo, una certa fortuna nel Medioevo e nei secoli successivi: si contano 44 manoscritti (vedi Monleone, I, pp. 351-509 con l’integrazione di Kaeppeli-Panella, II, p. 368) e un’edizione parziale a cura di Ludovico Muratori ( Rerum Ital. Script. , IX, Mediolani 1726, coll. 1-56). L’edizione critica è di Giovanni Monleone (Fonti per la storia d’Italia, Roma 1941), che ha premesso al testo uno Studio introduttivo sulla vita di Iacopo e le sue opere, a tutt’oggi punto di riferimento fondamentale. L’edizione Monleone, oltre a mettere a disposizione una versione criticamente affidabile della Chronica , ha il merito di aver ribadito il carattere del tutto peculiare dell’opera di Iacopo all’interno del genere cronachistico sottraendola ai giudizi impietosi sulla sua affidabilità come opera storica che molti nel corso dei secoli, tra i quali anche Coluccio Salutati e Muratori, le hanno riservato. Recentemente Stefani Bertini Guidetti ha fornito una traduzione integrale della Chronica in lingua italiana (ECIG, Genova 1995), preceduta da un riesame critico dell’opera in rapporto con la storia di Genova e l’azione pastorale e politica dei frati Predicatori.

Altri opuscoli agiografici

Iacopo scrisse inoltre alcuni opuscoli di carattere agiografico che sono tradizionalmente ritenuti autentici. Alcuni di essi sono ricordati dallo stesso Iacopo in vari passaggi della Chronica , altri gli vengono attribuiti nei manoscritti e risultano per lo stile molto vicini alla Legenda aurea .

Tre riguardano santi e reliquie legati alla storia di Genova: la Legenda seu vita sancti Syri episcopi Ianuensis , scritta nel 1293 (il testo, che corrisponde al capitolo dedicato a san Siro in delle ultime revisioni editoriali della Legenda aurea , è stato pubblicato nel 1874 da Vincenzo Promis come opera autonoma in Leggenda e inni di san Siro vescovo di Genova , in Atti della Società ligure di storia patria , X (1874), pp. 357-383); l’ Historia reliquiarum que sunt in Monasterio SS. Philippi et Iacobi de Ianua , probabilmente composta tra il 1286 e il 1292, e l’ Historia translationis reliquiarum Sancti Iohannis Baptistae Ianuam , redatta tra 1296 e il 1298 (entrambe pubblicate in Due opuscoli di Jacopo da Varagine , ed. a cura di A. Vigna e L. T. Belgrano in Atti della Società ligure di storia patria , X (1874), pp. 465-479 e pp. 480-491).

Il Tractatus miraculorum reliquiarum Sancti Florentii e l’ Historia translationis reliquiarum eiusdem , composte probabilmente tra il 1281 e il 1285, sono contenute nel manoscritto Fiorenzuola d’Arda, Bibl. Parrochiale (sec. XV), ff. 33r-53v (traduzione italiana in G. Bonnefoy, San Fiorenzo vescovo di Orange , Roma 1945, pp. 108-126; per la bibliografia sul manoscritto e sull’opera vedi Kaeppeli-Panella, II, p. 369).

La Passio sancti Cassiani è stata scritta da Iacopo nel 1282 su richiesta del vescovo di Imola, Sinibaldo de’ Milotti, che aveva consacrato nel 1271 la nuova cattedrale della città a san Cassiano ( Bibliotheca Hagiographica Latina , 1635b-c).

Bibliografia

Fonti

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Studi

La rassegna qui presentata è selettiva per quanto riguarda gli studi più datati per i quali si rinvia a Th. Kaeppeli – E. Panella, Scriptores Ordinis Fratrum Praedicatorum , II, Roma 1975, pp. 348-369 (che comprende studi fino al 1973) e IV, Roma 1993, pp. 139-141 (che comprende studi fino al 1991) e a La Légende dorée (Lyon, 1476). Edition critique de la Légende dorée dans la revision de 1476 par Jean Batailier, d’après la traduction de Jean de Vignay (1333-1348) de la Legenda aurea (c. 1261-1266) , ed. B. Dunn-Lardeau, Paris 1997, pp. 1515-1557 (che comprende studi fino al 1996).

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